La Cesarea Regia Marina Veneta. La tradizione navale veneziana al servizio dell’Austria.
Millo Bozzolan
Al passaggio dei poteri nei territori adriatici che erano parte dell’antico Dominio veneto, si mosse una flotta ben misera dai porti di Trieste e Fiume, a riprova che gli Asburgo, fino ad allora non avevano puntato ad una politica espansionistica sul mare: due vascelli “cutter”, poche cannoniere e qualche mercantile male armato; e sarebbero forse tornate indietro, all’arrivo di una tempesta che minacciava di affondarli, se non fosse arrivata in soccorso la residua flottiglia veneta, sui cui pennoni garriva ancora il Leone Marciano, mossasi per ordine del Provveditor Andrea Querini.
E’ chiaro che una volta inglobati gli ex Domini Veneti, gli austriaci si posero il problema di come formare dei quadri e un naviglio adeguati ai nuovi bisogni e fu naturale che fondassero le basi del nuovo impero marittimo sul grande passato della Serenissima.
Della flotta originale era rimasto ben poco: quello che il rapace Napoleone non aveva potuto portare via era stato distrutto (come due cannoniere in costruzione all’Arsenale) e la flotta veneta sorpresa a Corfù senza i mezzi per muoversi, era stata inglobata nella marina francese.
Restava, però, una scuola, una tradizione millenaria che gli austriaci ammiravano, e cercarono in tutti i modi di far proseguire nei decenni seguenti, tanto da adottare persino l’effige del Leone sulla bandiera della marina (fino al 1852) e la denominazione di Osterreichische Venezianische Marine , cioè la Cesarea Regia Marina Veneta.
Fu infatti ripristinato il Collegio Navale Veneziano con i vecchi insegnanti di lingua veneta. Tra gli allievi troviamo i nomi austriaci di quelli che diverranno i più brillanti ufficiali della marina imperiale. Tra questi spicca quello dell’ammiraglio Wilhelm Tegetthoff, vincitore a Lissa contro la squadriglia navale italiana.
Anche per la radicata abitudine della gente veneta di parlare ovunque e con chiunque la propria lingua madre, si può ben capire come fosse disatteso l’obbligo di usare il tedesco tra ufficiali e all’interno del collegio navale. del resto, dovendo governare navi con equipaggi interamente veneti (o con minoranze slavofone che il veneto lo intendevano benissimo), i comandanti austriaci, fino all’ultimo ufficialetto, si adattarono a quell’abitudine che semplificava loro la vita.
Si racconta che persino l’Imperatore Francesco Giuseppe lo parlasse correntemente. Quando De Gasperi, giovane deputato austro trentino, gli si rivolse per chiedergli l’apertura di un’Università a Trento, il vecchio imperatore rispose, indicando i vari dignitari presenti: ” Caro De Gasperi, lo voria anca mi, xe lori che no i vol !” , in perfetto veneziano.
Si può dire che l’uso del veneto tra gli equipaggi, rimarrà totale fino al 1918, e il tedesco si userà soltanto per la corrispondenza con Vienna.
Questo mio articolo,in maniera più ampia, è comparso nel 1997 nel vol (commemorativo del bicentenario della fine della Serenissima) “Da Cambrai a Campoformio” edito nel medesimo anno dla Circolo Culturale “Gli armigeri del Piave”.
Dovemo tornarquanto prima alle nostre origini se no qua i ne ciucia la medola.