La Venere dormiente di Zorzo da Castelfranco
di Antonia dei Todeschi.
Pervenuta alle collezioni reali di Sassonia nel 1697, come opera di Giorgione, la tela fu poi lasciata alquanto deperire. Nel 1843 il restauratore Schirmer provvide ad una pulitura e trovò, sulla sinistra, tracce consistenti di una figura di angioletto, ma dato lo stato piuttosto rovinoso di quell’area, la ricoprì.
Si deve al Morelli (1886) l’ attribuzione dell’opera al Giorgione, ma il riconoscimento che si tratta della “tela della Venere nuda, che dorme in uno paese con Cupidine, fo de mano di Zorzo de Castelfranco, ma lo paese et Cupidine forono finiti da Titiano” fu dato dal Michiel nel 1525 quando vide l’opera in casa di Girolamo Marcello.
Probabilmente l’intervento di Tiziano non si limitò a quanto scritto dal Michiel; oltre al fatto evidente che questa immagine è il prototipo per la successiva Venere di Urbino (1538), che il paesaggio sulla destra è lo stesso dell’opera “Noli me tangere” di Londra e che il drappo a terra è assolutamente suo tipico del Tiziano.
Resta comunque una delle primissime rappresentazioni di donna nuda dell’era moderna anche se ispirata all’arte antica; la dea dell’ amore distesa, con la mano sul pube, e le dita che scendono lasciano pensare ad una masturbazione, un ipotesi non tanto strana se pensiamo che secondo trattati ginecologici dell’ epoca, la masturbazione avrebbe reso una donna più fertile.
Sul piano stilistico la dea si distingue per le sue forme morbide e delicate, il paesaggio di sfondo è il massimo grado di perfezione della pittura tonale e il tutto una sintesi perfetta delle capacità artistiche di due grandi artisti del Rinascimento.