L’affresco di casa Colussi Manéta a Pianaz (Val di Zoldo)
Di don Floriano Pellegrini
È merito dell’ing. Gastone Colussi e della moglie Annamaria, prematuramente scomparsa ma sempre spiritualmente presente tra le mura domestiche, aver intuito il valore dell’antica dimora di Pianaz e d’averne avviata la non semplice opera di recupero, sia con il superamento della frantumazione in termini di titolari della proprietà, sia con la sistemazione delle strutture murarie e materiali, per giungere ad un più razionale utilizzo abitativo. I problemi da affrontare sono stati molteplici, né sono tutti risolti, ma l’antico palazzetto sta tornando alla bellezza originaria, di chiara impronta architettonica veneziana, che lo qualificava in origine se non come la più bella dimora signorile della Val di Zoldo (così io lo ritengo), come una delle più belle.
Nella sala centrale del primo piano, accanto alla porta d’ingresso alla stua, regolarmente situata sul lato sud-est della casa, c’è un affresco (ma bisognerà verificare che non si tratti di un, più fragile, dipinto su calce), assai dignitoso, raffigurante un San Giacomo Apostolo, detto il Maggiore, fratello dell’evangelista e apostolo San Giovanni, e un Sant’Antonio da Padova.
L’affresco (lo chiameremo così) mostra ben presto all’osservatore d’essere stato ritoccato in più punti, in modo arbitrario per quanto in buona fede, e ciò assai probabilmente ad opera del dipintore, negli anni trenta del Novecento, dell’albero genealogico della famiglia Colussi Manéta, che spicca – quasi con un che di inquietante per le sue dimensioni – sull’altro lato della sala. Sembra di mano dell’autore di detto albero la scritta con la data del 1743, per quanto tutto faccia pensare corrisponda ad una scrizione più antica, da lui ripresa e rifatta. D’intorno è stata creata una finta cornice. Tra i volti dei due Santi sembra sia stata appiattita sul giallo una figura o, almeno, un originario vortice di luci provenienti da un lontano e centrale sole-Dio, senza della qual immagine (almeno di cielo dorato) le testine d’angelo poste a corona perdono alla nostra comprensione il loro preciso significato. In basso, sull’affresco, sono state aggiunte le parole: «S. ROCCO S. ANTONIO / ORATE PRO NOBIS», nella prima riga in italiano e nella seconda in latino, segno che l’ignoto aveva una cultura mediocre e, perciò, non doveva permettersi gli interventi che ha fatto; tanto più che le sue parole ne coprono delle altre, di cui gli eredi Silvia e Marco Colussi sono riusciti a leggere un: «FRATRES».
Veramente bella l’immagine del Gesù che, con una manina, accarezza il volto di Sant’Antonio. Come dispiace non saperne l’autore! Esso, comunque, non era di sicuro un semplice madonnaro o «artista di strada» di quel tempo.
L’identificazione del primo dei due Santi in San Rocco, patrono di Pianaz, fatta dall’anonimo con la sua scritta arbitraria e passata inavvertitamente nella tradizione orale, è del tutto infondata. Non compaiono, infatti, gli attributi iconografici tipici del Santo di Montpellier: il cane, la gamba scoperta e ferita da una piaga, il bordone da pellegrino; né il Santo indossa il sanrocchino, pure tipico dei pellegrini medievali. Quello raffigurato indossa sì un lungo saio da pellegrino di colore berettin (come lo intendiamo in valle) ossia ocra rossa ed ha una mantellina nera ornata con le due tradizionali conchiglie dette cappesante, ma ha pure un ampio mantello violaceo, che richiama quelli con strascico usati in antico dai vescovi. Non ha la bisaccia, bensì un grosso libro, e, al posto del bordone, regge una palma da martire; sotto i suoi piedi, infine, compare una robusta spada, come ebbe a farci osservare la signora Silvia Colussi, rompendo una specie di incantesimo per cui tutti guardavamo al dipinto senza darle il doveroso risalto e confondendola, chissà perché e proprio senza capirne il motivo, con il rametto con i tre gigli (due aperti e uno chiuso), attributo iconografico di Sant’Antonio da Padova.
Giacomo, il cui nome è ben presente tra i membri del casato, in quanto apostolo era anche vescovo e morì martire; fu, anzi, il primo apostolo martire. Nel libro biblico degli Atti degli Apostoli si legge (cfr. At 12, 1-2) che negli anni Quaranta del primo secolo (quindi pochi anni dopo la morte di Cristo) il re Erode Agrippa «cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa, e fece uccidere di spada Giacomo fratello di Giovanni». Essere «ucciso di spada» equivale a «essere decapitato»; stessa sorte che capiterà poi all’apostolo San Paolo. Ed è per accenno e in ricordo della sua morte che, nell’iconografia di San Giacomo Apostolo, ai suoi piedi è raffigurata una spada.
Il libro che regge è un Evangeliario, attributo iconografico tipico, e accenna al fatto che San Giacomo fu predicatore, anche se – in verità – della sua predicazione non si sa nulla. Scrivendo per l’Enciclopedia Treccani, T. Iazeolla (1995) dice: «Nulla si sa della sua attività apostolica dopo l’ascensione del Signore, ma si può ipotizzare che abbia predicato in Siria e in Giudea e che sia stato decapitato al ritorno a Gerusalemme (Réau, 1958). I principali miracoli che gli vengono attribuiti sono le conversioni del mago Ermogene e dello scriba Giosia, che accompagnava Giacomo al martirio e che, dichiaratosi cristiano, sarebbe stato battezzato dall’apostolo stesso (Clemente Alessandrino, Hypot., VII, in Eusebio di Cesarea, Hist. eccl., II, 9; PG, XX, col. 157). Secondo una leggenda spagnola, probabilmente del sec. 10°, Giacomo avrebbe predicato prima senza successo in Spagna, poi sarebbe ritornato a Gerusalemme, dove avrebbe subìto il martirio».
Sarà interessante approfondire, in seguito, elementi specifici dell’affresco e fare un’analisi delle concordanze e discordanze con l’immagine di San Rocco e quella di San Pellegrino delle Alpi, la cui chiesa (di molto precedente a quella di Pianaz, dedicata a San Rocco) interessava anche Pianaz, che è villaggio doppiamente legato a Coi, in quanto membro della stessa Regola Grande dai Coi (in latino Collium o a Collibus, ora denominata Regola Grande di Coi) e in quanto sede del maso di San Mattia, che aveva casa anche a Coi, nella vecchia abitazione di Sélva.
Sarà pure interessante verificare se e come l’antico legame col nobile miles Federico degli Azzoni, proprietario del maso e comproprietario dell’area della cappellina di San Pellegrino recante la croce templare, abbia testimonianze anche in questa casa e con i suoi costruttori, rimasti sempre un po’ nel mistero, almeno sino ad ora.
E, infine, sarà importante verificare i legami tra lo scoperto San Giacomo Apostolo di Pianaz ed il villaggio di Dont, dove dal 1626 è attestata l’esistenza (dunque anteriore, forse di molto) di un sacello dedicato a tale Santo, che è, poi, il celebre Sant Jago di Compostela, da cui prende nome il capoluogo della Galizia (in Spagna), dove egli ha il celebre santuario.