MARAT: LA MORTE DI UN TIRANNO, IDEALIZZATO DALLA FRANCIA RIVOLUZIONARIA
Di Milo Boz Veneto
Il quadro, commissionato a David subito dopo l’uccisione dell'”amico del popolo” (un membro dell’Assemblea Nazionale e un giornalista), avvenuta il 13 Luglio 1793 ad opera della cospiratrice Charlotte Corday, rappresenta il cadavere di Marat lì dove era avvenuto l’omicidio, ossia nella vasca in cui era costretto a trascorrere molte delle sue ore per lenire una grave affezione cutanea, e perciò attrezzata come studio con un tavolaccio. La donna che lo assassinò si era introdotta da lui con un coltello nascosto nel suo abito con la scusa di porgergli una lista di persone che avrebbero dovuto essere giustiziate come nemiche della Francia: fu tuttavia ghigliottinata lei stessa poco dopo il delitto, e Marat sepolto al Panthèon, dopo un funerale grandioso organizzato da David stesso.
Jean-Paul Marat (24 May 1743 – 13 July 1793), di origine prussiana, fu un fisico, un teorico politico e uno scienziato meglio conosciuto per la sua carriera in Francia come giornalista radicale e politico durnate la Rivoluzione Francese: i suoi articoli erano famosi per il loro carattere fiero e le istanze senza compromessi verso i “nemici della rivoluzione”, e le riforme di base a favore dei ceti più poveri della società. Marat fu una delle voci più estreme della Rivoluzione, e divenne un vigoroso difensore dei sanculotti, tenendo discorsi pubblici appassionati, scrivendo saggi, articoli: le sue denunce verso i contro-rivoluzionari incoraggiarono molte delle violenze che accaddero durante il periodo di scontri, e la sua costante avversione ai “nemici del popolo” gli fece guadagnare la fiducia della popolazione rendendolo il collegamento forse più esemplare al gruppo Giacobino che andò al potere nel Giugno 1793. Nei due mesi che portarono alla caduta della fazione avversa fu infatti uno dei tre più importanti uomini della Francia, con Georges Danton e Maximilien Robespierre.
Il dipinto isola ed evidenzia la figura di Marat esanime su uno sfondo neutro, bilanciando la disposizione su assi che rendono le varie parti asimmetriche ma equilibrate (ponderatio classica); la luce proviene dall’alto a sinistra e illumina il volto sereno e gli oggetti del dramma; la descrizione degli oggetti è precisa (si legge il testo della lettera).
Tutto parla della nobiltà del politico: il giusto muore col sorriso sulle labbra, nella mano c’è la perfida lettera della traditrice (Cittadino, basta la mia grande infelicità ad assicurarmi la vostra benevolenza), la penna era lo strumento della battaglia del politico. Vicino c’è il coltello, lo strumento dell’assassina. Il braccio pende senza vita richiamando la posa del cosiddetto “braccio della morte”, ovvero un topos delle arti figurative che trova la sua probabile origine nel “Sarcofago romano con trasporto funebre di Melagro” del 190 dC e verrà perpetuata da moltissime volte (vedi Raffaello nella “Deposizione di Cristo” del 1507, o Michelangelo nella “Pietà”). Il tavolaccio dello scrittoio e il ceppo di legno ci dicono della semplicità dell’uomo. La dedica di David a Marat incisa nel blocco con caratteri latini è l’epigrafe di un monumento alla memoria di un eroe: l’opera fu definita la “Pietà della Rivoluzione”, evidenziando bene la sacralità di un momento pur totalmente laico, e divenne il lavoro più famoso dell’artista, che lo presentò dicendo “Cittadini, il popolo ha richiamato a sè i suoi amici, e la sua voce desolata è stata ascoltata: David, prendi i tuoi pennelli e vendica Marat: ho ascoltato… ho obbedito”.
La morte di un folle.