Nella Repubblica di Venezia per prevenire le emergenze sanitarie, anche la delazione.
NELLI VANZAN MARCHINI, scrittore e docente
Fin dall’istituzione del primo lazzaretto, nel 1423, il Senato veneziano fu consapevole della necessità di essere informato dei casi di peste manifestatatisi in città, per isolarli immediatamente. Si era infatti consapevoli che, o si bloccava subito il contagio ai margini della collettività o, una volta entrato, i danni economici e demografici sarebbero stati irreparabili. La scelta di investire in prevenzione venne realizzata nel 1468 con l’istituzione del secondo lazzaretto per la contumacia dei sospetti e dei provenienti da paesi contagiati, ma per fare ciò era indispensabile conoscere luoghi e persone ammorbati. Le navi si bloccavano e si controllavano al loro ingresso in laguna, ma pellegrini, mercanti e viaggiatori, che giungevano alla spicciolata dalle vie di terra, potevano sfuggire ai posti di sanità che presidiavano la conterminazione lagunare.
Non era facile raccogliere tempestivamente le informazioni sui casi sospetti in una città cosmopolita dove affluivano stranieri da ogni parte dell’Occidente e del Levante, perciò si incoraggiarono le denunce segrete, firmate e convalidate da due o più testimoni. Le lettere, indirizzate ai Provveditori alla Sanità, inizialmente vennero infilate sotto la porta della sede del Magistrato, poi imbucate in apposite “casselle” di legno che si trovavano nei pressi dell’Ufficio. Dalla metà del Seicento si collocarono, sia a Venezia che in Terraferma, lungo le pubbliche vie, delle “bocche di pietra”, ovvero dei bassorilievi lapidei raffiguranti il muso di un animale allegorico, per lo più un leone, nella cui bocca si inserivano le lettere che cadevano nella retrostante cassetta. Il denunciante, la cui identità era coperta dal segreto, poteva essere compensato con 1/3 o 1/4 della sanzione pecuniaria inflitta al reo.
In rari casi, e con grande cautela, si accettarono le denuncie “orbe”, cioè anonime, come quella, inviata al Consiglio dei Dieci durante la peste del 1576, contro alcuni ministri del lazzaretto che facevano uscire e vendevano le cose infette dei ricoverati, mettendo a rischio la salute pubblica.

bocca delle denunce segrete per la Sanità
Sul corretto funzionamento del sistema delle delazioni, sia di comuni cittadini, che di rappresentanti delle istituzioni, come piovani, capitani di nave e ministri di vari uffici, si fondava la prevenzione. Poiché il contagio minacciava la sopravvivenza dell’intera collettività, la risposta dovesse essere collettiva. Anche la denuncia dei funzionari dei lazzaretti, che talvolta maltrattavano e derubavano i ricoverati, contribuì a perfezionare la macchina burocratica destinata a tutelare l’appestato dal momento del suo trasporto in isolamento fino alla guarigione o alla morte, garantendone i diritti e i beni da qualsiasi forma di sciacallaggio.
Per dissuadere da ogni trasgressione delle norme sull’isolamento della peste, il Magistrato alla Sanità adottò condanne esemplari come le esecuzioni capitali, il bando perpetuo, pene corporali e pecuniarie…. Le sentenze erano rese pubbliche “sulle scale di Rialto e di San Marco”, mediante la lettura delle sentenze a gran voce da parte del “comandador” dell’ufficio, che saliva su scalette in pietra per attirare l’attenzione della popolazione. Le esecuzioni si svolgevano dinanzi al portone del Magistrato, la cui sede si trovava nel Fondaco delle Farine, maestoso edificio gotico vicino alla Zecca accanto a Piazza San Marco, il sito era ben visibile da tutto il Bacino. (L’edificio simbolo della sanità della Repubblica fu raso al suolo nel 1806 dalla dominazione francese per farvi i giardinetti reali).
Il coinvolgimento della cittadinanza avveniva, non solo attraverso la punizione pubblica ed esemplare dei reati contro la salute pubblica, ma anche con l’educazione sanitaria diffusa dai piovani con il racconto esemplare della vita dei santi della peste. I piovani dovevano registrare e comunicavano tutti i malati e morti nelle loro parrocchie all’Ufficio di Sanità, che redigeva i libri di necrologi e controllava l’andamento demografico della popolazione.
Le denunce erano, dunque, il risultato della condivisione di un’etica civile basata sul controllo collettivo del corpo urbano per la tutela sanitaria dalle aggressioni epidemiche, secondo i parametri religiosi della comunità cristiana. Dai funzionari posti ai livelli più alti a quelli che svolgevano ruoli tecnici negli uffici, ai ministri del culto nelle chiese, fino ai popolani, ai mercanti e viaggiatori, tutti i cittadini veneziani potevano e dovevano divenire osservatori e denunciare il pericolo di contagio.
Assai più complesso fu il controllo della situazione sanitaria degli stati esteri con i quali Venezia aveva relazioni commerciali e che non avevano alcun interesse a far sapere che la peste si era manifestata dentro i loro confini, temendo l’isolamento economico che ne sarebbe derivato. Allora la Repubblica si avvalse dei suoi consoli e ambasciatori, e ricorse all’invio di “informatori” scelti, cioè di spie che rilevassero la reale gravità del contagio.

esecuzione mediante fucilazione, per ordine dei Magistrati alla Sanità
Mentre lo spionaggio commerciale e politico era gestito dagli Inquisitori di Stato e, per i casi di alto tradimento, dal Consiglio dei Dieci, quello sanitario dipese esclusivamente dal Magistrato alla Sanità, che ricorse molto spesso all’invio dei suoi “confidenti” per verificare l’insorgenza di emergenze epidemiche come accadde a Salisburgo nel 1553, a Vicenza e Padova nel 1557, a Mantova e a Trento nel gennaio del 1576 e persino nelle vicine Verona e Brescia, ma molti altri sono i casi documentati nei fondi dell’Archivio di Stato di Venezia. Nel 1720 furono mandati due osservatori a Marsiglia per accertare se erano fondate le notizie sulla pandemia che poi dilagò in tutta la Provenza fino al 1723.
Molto lunga è la lista delle spie di sanità della Repubblica, spesso si trattava di banditi che offrivano i loro servigi per riscattare la loro colpa e poter rientrare in patria. Essendo stati condannati, avevano una copertura che li rendeva affidabili per gli altri stati e per i nemici della Repubblica. Tutte queste operazioni di intelligence avevano per scopo la immediata “sospensione a libera pratica” dei paesi contagiati, con il blocco e l’isolamento delle navi, merci e passeggeri, da essi provenienti.
Grazie a tutte queste misure, Venezia perfezionò i suoi cordoni sanitari e, dal 1630, riuscì a tenere fuori la peste dalla sua laguna, mentre le pandemie si manifestarono fino a tutto il secolo XIX in molti paesi con i quali continuò a intrattenere scambi commerciali.
tratto da timermagazine.press