PAOLO SARPI, LA CHIESA E LO STATO VENETO. IL SUO VERO PENSIERO-
Di Millo Bozzolan.
Paolo Sarpi non ebbe mai un monumento dalla Repubblica, di cui fu consigliere ascoltato sulle controversie nate con la chiesa romana. Ci pensò nell’800 l’Italia post risorgimentale massonica, nel tentativo di impadronirsi del suo lascito dottrinario, che ne promosse una lettura “laicista” (completa separatezza tra Stato e Chiesa) che mai gli appartenne.
Lettura che continua ancora oggi, riducendo la nostra grande Serenissima Repubblica di Venezia, a uno stato precursore della laicità moderna. E’ una forzatura, un travisamento dello spirito dei nostri Padri e lo dimostra in maniera evidente questo brano che rinvenni qualche tempo fa, leggendo “Il Discorso dell’origine dell’uffizio dell’Inquisizione”.
sull’uffizio dell’Inquisizione
In realtà il dissidio nacque sempre e giustamente nella sfera temporale, mai in quella teologica: il Sarpi auspicava e proteggeva una “chiesa nazionale veneta”, ma non ne predicava l’autonomia dal punto di vista della dottrina cattolica, a differenza ad esempio dell’anglicanesimo. Indicava quindi una terza via possibile, ove Stato e Chiesa collaborassero alla salvezza e al benessere spirituale dei sudditi, e anche a quello materiale, con le opere di carità. Ma riconosceva alla chiesa ogni primato nella guida dottrinale, mentre la chiesa doveva lasciare il campo nella gestione della cosa pubblica che aveva compiti di controllo anche nel campo religioso. Ecco quanto scrive:
Tra le perverse opinioni, de’ quali abbonda il nostro secolo infelice, questa ancora è predicata, che la cura della Religione non appartenga al Principe, qual è colorata con due pretesti. L’uno, che per esser cosa spirituale, e divina, non s’aspetti all’autorità temporale. L’altro, perché il Principe, occupato in maggiori cose, non può attendere a questi affari.
E’ certo degna di meraviglia, la mutazione, che il mondo ha fatto. Altre volte, li Santi Vescovi, niuna cosa più predicavano, e raccomandavano ai Principi, che la cura della Religione. Di niuna cosa più li ammonivano, e modestamente li riprendevano, che del trascurarla. E adesso niuna cosa più si predica, e persuade al Principe, se non che a Lui non si spetta la cura delle Cose Divine, con tutto che pel contrario la Scrittura Sacra sia piena di luoghi dove la Religione è raccomandata alla protezione del Principe dalla Maestà Divina, la quale anche promette tranquillità a quei Stati, dove la Pietà è favorita, si come minaccia desolazione, e distruzione, a quei Governi dove le cose divine sono tenute come aliene….(seguono esempi di antichi Regni dove le cose divine erano curate massimamente).
La Vera Religione essendo fondamento dei Governi, sarebbe grande assurdità, tenendo ciò per vero, com’è verissimo, il lasciarne cura totale ad altri, sotto pretesto che sono spirituali, dove la temporale autorità non arriva, ovvero che il Principe abbia maggiore occupazione che di questa.
Chiara cosa è, che siccome il Principe non è Pretore, né Prefetto, né Provveditore: così parimente non è né Sacerdote, né Inquisitore, ma è ben anco certo che la cura Sua è di sovrintendere, col tener in Ufficio, e procurar che sia fatto il debito, così da questi, come da quelli, e qui sta l’inganno, ché la cura particolare della Religione è propria delli Ministri della Chiesa, siccome il governo temporale è proprio del Magistrato, ed al Principe non conviene esercitar per sé medesimo né luno né l’altro, ma indirizzar tutti, e lo star attento, perché niuno manchi all’Ufficio suo, e rimediare alli difetti delli Ministri: questa è la cura del Principe, così in materia di Religione, come in qualsivoglia altra parte del Governo”.