“Queste camere rappresentano l’Italia come io rappresento il Gran sultano turco!” Massimo D’Azeglio
Nel gennaio del 1861, alle elezioni per il primo Parlamento unitario, erano da eleggere 443 deputati per una popolazione di 22 milioni di abitanti.
Ma, di questi, solo 419.938 avevano diritto al voto, attribuito unicamente a chi, per censo e istruzione, appartenesse al ceto dei «notabili». Poco più della metà, però, del già estremamente esiguo numero di elettori, si recò alle urne: non furono che 242.367. Ma i voti validi alla fine si ridussero a 170.567, di cui oltre 70.000 erano di impiegati statali cui il governo stesso autorevolmente «consigliava» per chi votare.
Insomma, 22 milioni di abitanti erano rappresentati dal suffragio (sottoposto per giunta anch’esso a brogli e intimidazioni varie) di 100.000 persone. Di quei 443 deputati, 57 entrarono nell’aula torinese di Palazzo Carignano grazie a meno di 200 voti, 161 a meno di 300, e così via. Solo 2 (due!) avevano ottenuto il suffragio di più di mille votanti. E, tra questi due, non c’era lo stesso Cavour che, allora all’apice della gloria, fu eletto nel primo Collegio della sua Torino con 620 preferenze su un totale di 1324 aventi diritto.
Si capisce perché un Massimo d’Azeglio, che pure di quel Risorgimento fu uno dei più convinti e autorevoli protagonisti, si fosse lasciato scappare già in occasione di altre elezioni: “Queste Camere rappresentano l’Italia così come io rappresento il Gran Sultano turco!”.
Mutate le cose… oggi abbiamo dei governi che si succedono l’uno all’altro.. senza che nessuno, dico nessuno, li abbia eletti. A pensarci bene, siamo messi peggio di allora. Cosa direbbe, il Padre della Patria, D’Azelio? Domanda retorica.