AH! BURANO… Mi ricordo Burano con i suoi colori.
di Paolo Zambon
Per un giovane fotografo che studiava architettura era un’attrazione indescrivibile. Le infinite tonalità cromatiche dei suoi fabbricati e le ombre delle rigorose murature, disegnavano sui campi, sui muri e fino ai canali, forme e contrasti chiaroscurali che nelle giornate di sole primaverile riempivano l’animo e la creatività.
Si capiva bene in quei momenti l’attrazione che aveva prodotto in artisti e pittori, quali il grande Gino Rossi, ad abbandonare tutto per vivere in quel luogo.
Il colore era il “lusso dei poveri”, disse qualcuno. Sicuramente in quell’isola di pescatori, marginale rispetto a Venezia, quasi sempre immersa nella nebbia nei mesi invernali, l’invenzione di vivacizzare le proprie case con il colore, era diventata negli anni una caratteristica peculiare, un’espressione culturale, oltre ad un “modus vivendi”.
Il colore delle case, fino agli anni ’70-80, veniva fatto con polveri naturali, magari acquistate in Calle del Spizier in fondo a Calle lunga, a San Barnaba, nella bottega di Renato Burelli che così ricordava: “Vengono Buranelli che si riconoscono dall’accento cantilenante e lento. Comprano il forie blu oltremare, l’appassionato viola “morello”, e maestosi accordi di cobalti e turchesi per tinteggiare con l’aiuto gelatinoso dell’acqua nella quale, come si faceva una volta, avranno bollito il riso, le facciate delle loro clamorose casette sospese nel biancore opaco della laguna”.
Ora si usano in modo sconsiderato gli intonaci plastici e le pitture e vernici sintetiche che producono artificiosamente colori vivi e accecanti che distorcono e rendono, a mio avviso, estraneità rispetto alle precedenti realizzazioni, alla tradizione espressiva e culturale dell’intera comunità.
Una risposta
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