Le Insorgenze Venete e non – volutamente dimenticate
da una ricerca di Gualtiero Scapini.
La storia ufficiale è scritta, si sa, sempre dai vincitori. E questi si prendono il diritto di esaltare alcuni fatti e trascurarne o ridimensionarne altri, in funzione delle proprie convenienze contingenti. L’Italia, unita dalle baionette sabaude, è sempre stata culturalmente succube di Napoleone, al punto da esaltarne i successi e sottacerne i, molti, misfatti.
Delle angherie e dell’oppressione se ne erano invece ben accorti in contemporanei, nelle due ondate di invasione napoleonica, la prima, che ha portato alla fine della serenissima, nel 1797 e la seconda, più lunga, dal 1805 al 1814, nella massima espansione dell’effimero impero napoleonico, di cui il regno d’Italia era uno stato fantoccio.
La prima occupazione, per la sua rapidità, si contraddistinse principalmente per l’arbitrio, la violenza, il furto di opere d’arte, la distruzione.
La seconda, in un contesto relativamente più stabile di uno stato costituito, i danni furono imposizione fiscale, attacco alla religione, deportazione dei giovani come soldati per le folli guerre in giro per l’Europa. Così mentre i figli e i mariti morivano in Russia, furono in gran parte le donne a dar voce alla rivolta.
Nell’ottobre 1805, mentre gli eserciti francese ed austriaco erano in guerra, si sollevò il paese di Crespino, seguito ben presto da tutto il Polesine. La rivolta cessò spontaneamente allorché le forze austriache furono richiamate al fronte. Nondimeno, la condanna della Francia vittoriosa fu spietata: all’inizio del 1806 gli abitanti di Crespino furono privati della cittadinanza e dichiarati “colonia” di gente senza patria. Solamente un anno dopo, l’11 gennaio 1807, Napoleone con un suo decreto revocò il provvedimento.
Insorsero i dipartimenti alpini e quelli del Lario, poi i territori di Brescia, Como e Sondrio. Nel Mantovano insorsero Ostiglia, Sermide, Castelvetro e Pavullo. Tornarono a insorgere le zone a ridosso delle terre imperiali, come la Valtellina e la Val Camonica.
Nel Veneto i primi moti si ebbero a Lonigo, Zevio, Isola della Scala, Legnago, Vicenza, Badia Polesine, Rovigo ed in Istria. Successivamente, l’8 luglio 1809, oggi considerato l’anniversario dell’insorgenza veneta, la rivolta dilagò: insorsero il Trentino e la vicina Asiago, poi Feltre, Belluno, Bassano, Schio, i Dipartimenti dell’Adige, Piave, Bacchiglione, Adriatico, Tagliamento. Nel Veronese, la rivolta divampò nel capoluogo e in diversi altri comuni; lo stesso nel Padovano e nel Polesine. Nell’Istria e in Dalmazia in estate insorsero tutti i centri principali: il 21 luglio Sebenico, il 2 agosto Spalato, poi Lesina, Zara e Rovigno. Anche l’intera penisola italiana era in fiamme. Insorse il Lazio, si ribellò il Piemonte, insorsero le città dell’Emilia, della Romagna, della Toscana, delle Marche, del Napoletano e in Calabria.
In Tirolo i francesi avevano cambiato completamente l’assetto istituzionale preesistente, e la rivolta ebbe durata e consistenza superiore anche per la presenza di un leader carismatico, l’eroe Tirolese Andreas Hofer, di cui parleremo in un altro articolo a breve.
Nei musei delle varie città italiane ci sono gli strumenti utilizzati per le repressioni, oltre alle fucilazione di massa, ghigliottine di transalpina invenzione e altro. Si para di circa 10-15.000 morti, i numeri precisi non saranno mai noti, ma certamente rilevanti per l’epoca. Di questi morti per le insorgenze, così come dei circa 30.000 veneti morti in Russia combattendo per Napoleone, non c’è nemmeno una targa ricordo, non un monumento, non un cenno nella storiografia ufficiale.
Il nostro sito, al contrario, dedica una intera sezione a questa fase storica.
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